Giuseppe Paschetto ci racconta "Una scuola a misura dei sogni"

Oct 29, 2021
 

A un anno dall'uscita del suo fortunato libro Una scuola a misura dei sogni. 43 buone pratiche per innovare la scuola, Giuseppe Paschetto ci racconta la sua esperienza per costruire una scuola innovativa ed efficace.

Per chi non lo conosce, Giuseppe Paschetto è stato insegnante di matematica e scienze dal 1983 al 2019 alla scuola secondaria di I grado di Mosso, nel Biellese. Nel 2019 è stato inserito tra i 50 finalisti del premio internazionale "Global Teacher Prize" e ha partecipante al Forum mondiale sulla scuola a Dubai. Nel corso degli anni i suoi allievi hanno realizzato grandi imprese: la più famosa è probabilmente la raccolta fondi appoggiata dal Wwf per evitare che la meravigliosa isola di Budelli diventasse privata (la raccolta ha avuto successo e oggi l'isola fa parte del Parco nazionale della Maddalena).

Se vi interessa il suo libro, lo trovate qui. Buona lettura.

 

(Al minuto 04:22) Il libro Una scuola a misura dei sogni.

Domani è una giornata meravigliosa perché ripresenti il tuo libro Una scuola a misura dei sogni. Lo "ripresenti" perché la prima volta è stato presentato durante la seconda ondata di Covid-19 e non si è potuto organizzare un evento partecipato.

"Il libro è uscito un anno fa a ottobre, purtroppo alla vigilia dell'entrata di molte regioni in zona rossa. Siccome quest'anno la situazione è migliore abbiamo pensato di replicare la presentazione, ma in presenza. Ci vediamo al Teatro Giletti di Ponzone, nel Biellese, alle 18, con l'organizzazione del Comune di Valdilana. In realtà è la terza presentazione, perché a inizio settembre ho presentato il libro al Festival dell'innovazione di Valdobbiadene. Ma questa sarà diversa. Visto che siamo in un teatro, teatralizzeremo la presentazione coinvolgendo degli ex alunni e colleghi. Intanto perché non mi piace ripetere le stesse cose. Ma anche perché non si tratta solo di presentare un libro, ma di presentare i contenuti, nati da un rapporto trentennale con la scuola media".

 

È un libro che racconta le tue esperienze passate a scuola, ma che getta anche uno sguardo al futuro. Spesso mi sono chiesto cosa succederebbe se tutti i ragazzi potessero crescere con esperienze scolastiche come queste. Come è nata l'idea di scrivere questo libro?

"Nel contesto del Biellese Orientale il mio approccio era già conosciuto da un po' di tempo, ma quando alla fine del 2018 sono stato inserito tra i 50 finalisti del premio internazionale Global Teacher Prize c'è stata un'attenzione più diffusa al mio modo di insegnare. Così la casa editrice Vallardi mi ha proposto di mettere nero su bianco le mie esperienze. Ho subito pensato di dare un taglio leggero al libro, perché non sono un accademico: nel libro non ci sono teorie, ma la mia visione della scuola esemplificata dalle mie esperienze concrete. L'obiettivo è dare nuovi stimoli agli insegnanti. Ma anche trasmettere il mio entusiasmo per il mestiere di insegnante, che credo sia il più bello del mondo". 

 

Spesso ci imbattiamo, studiando o aggiornandoci, in teorie affascinanti su come apprende il cervello umano. Ma poi ci chiediamo sempre: funzionerà davvero? Anche all'inizio di Biella Cresce ci siamo fatti questa domanda, come vi abbiamo raccontato giovedì scorso. Per rispondere mia moglie Valeria ed io abbiamo fatto un viaggio in Finlandia e visitato molte scuole, ma ai tempi non sapevamo che un bellissimo esempio di scuola innovativa lo avevamo vicino a casa, nel Biellese. Ora, con Una scuola a misura dei sogni, tutti possono venire facilmente a conoscenza del tu approccio. Secondo te cosa farà da grande questo libro? 

"I sogni a cui ci si riferisce nel titolo sono di avere una scuola a misura dei bambini, e non dei bambini a misura della scuola come spesso accade. Vorrei raggiungere il cuore di più insegnanti possibile, ma anche genitori e cittadini in genere perché la scuola riguarda tutti. Il taglio è più semplice possibile, non amo il burocratese e lo scolastichese. Spero di ispirare passione, curiosità e follia, che sono gli ingredienti necessari per cambiare la scuola. Sarà poi la scuola a cambiare la società, in futuro". 

 

(Al minuto 17:54) La felicità a scuola.

In Italia sento molte volte, quando si parla di scuola, quel particolare tipo di vittimismo che va sotto la categoria "Siamo fatti così". Per questo, durante il nostro viaggio in Finlandia, chiesi a due dirigenti scolastici se i loro successi erano dovuti a una qualche caratteristica del popolo finlandese. Mi dissero di no, anzi erano dovuti a uno sforzo costante per insegnare nel migliore dei modi. Io credo che molti problemi della scuola italiana scomparirebbero se riuscissimo ad applicare la prima parte del tuo libro, quella che va sotto il titolo di "Visione". Giusto per fare un esempio, ci puoi raccontare il feliciometro?

"Il feliciometro è un oggetto. Un oggetto bizzarro che prende le mosse dal concetto di Fil (Felicità Interna Lorda), una misura del benessere si uno stato alternativa al Pil (Prodotto Interno Lordo). Avevo proposto in un collegio docenti l'introduzione di questo termine come obiettivo della scuola. Ricordo che il termine felicità aveva scandalizzato qualcuno, che si era proposto di usare dei sinonimi perché pensare che i ragazzi dovessero essere felici a scuola era un po' troppo. Invece credo che sia proprio la parola giusta: venire a scuola deve essere desiderabile, non solo un obbligo. Poi, dopo un'esperienza scolastica con i fluidi non mescolabili (come acqua, glicerina, alcol e olio) mi è venuta l'idea di costruire questo strumento, il cromofeliciometro a densità variabile. Consisteva in questo: di tanto in tanto ciascun alunno cercava di capire quale fosse la percentuale di esperienze noiose che aveva caratterizzato il periodo precedente, la percentuale di esperienze utili ma non interessanti, la percentuale di esperienze utili e interessanti e, infine, la percentuale di esperienze utili, interessanti e divertenti. Facendo la media tra le percezioni di ciascun alunno riempivamo una provetta di quattro liquidi che non si mescolavano, colorati dal basso di rosso, giallo, verde e azzurro. Più azzurro c'era, più la scuola era stata felice".

 

Questo strumento è incredibile, ma è il semplice cambio di paradigma a fare la differenza. Ovvero il mettere prima di tutto il fatto che un alunno sia soddisfatto e felice. La scienza ha ormai dimostrato che apprendere con noia e sforzo allenano a concentrasi meno e a lungo andare danneggiano l'apprendimento. La gioia, invece, lo potenzia. Qual è stato l'effetto sull'apprendimento del feliciometro?

"Troppi insegnanti ritengono che una classe ferma e zitta sia una situazione ideale. Ma avere una classe ferma e zitta non significa avere una classe attenta: a tutti, anche a noi adulti, è capitato di essere fermi e zitti eppure completamente disattenti, con la mente che vaga altrove. In questa situazione spesso l'obiettivo diventa ottenere la sufficienza nella verifica. Serve proprio quello che dicevi tu: un cambio di paradigma. Il feliciometro è uno strumento bizzarro, ma il messaggio che passa non lo è affatto. Si tratta di comunicare che a scuola non si viene per prendere un bel voto nelle verifiche, ma che la scuola è un'esperienza appagante in sé. Proprio come accade ai bambini che nei primi anni di vita imparano tantissimo e lo fanno spontaneamente, non per prendere un voto ma perché imparare è un'attività che li appaga. Poi entrano nel sistema scolastico e questo meccanismo naturale si inceppa. Invece si tratta, come sostengono ormai molti studi di neuropsicologia, di conservarlo anche dentro la scuola. Ovviamente per farlo bisogna abbattere molti luoghi comuni e false credenze che ancora sussistono. Ma si può fare. La mia esperienza come insegnante ne è un esempio".

 

(Al minuto 30:17) Il ruolo dei genitori a scuola.

La prima volta che ho preso in mano questo libro scritto da un insegnante ho immaginato che fosse rivolto ad altri insegnanti. Ma poi leggendolo mi sono accorto che parlava anche a me genitore. Secondo te perché dovrebbe leggerlo anche un genitore?

"I genitori sono una componente fondamentale della comunità educante che compone la scuola. È loro diritto, ma anche dovere, partecipare al percorso scolastico. La scuola può coinvolgerli in molti modi e diventano una risorsa inestimabile. Infatti molti dei capitoli del libro sono adatti anche a loro. Possono innanzitutto accorgersi che la scuola può cambiare e poi avere idee per lasciarsi coinvolgere. Spesso ci chiediamo qual è il posto dei genitori nell'istituzione scolastica: per quanto mi riguarda è al banco, accanto ai figli. E in una delle esperienza che racconto ci sono stati davvero, non figurativamente. Abbiamo dato la possibilità ai genitori che lo volevano di partecipare alle lezioni, lezioni vere non create apposta per compiacerli. Le ho sempre trovate delle belle esperienze che hanno arricchito la classe. Un'altra attività svolta con i genitori è stata il Gruppo alpinistico scolastico: abbiamo progettato molti itinerari e camminato tutti insieme, insegnanti, genitori, alunni e guide alpinistiche del Cai. Un'altra ancora era legata all'alimentazione: gli alunni partecipavano a laboratori di educazione alimentare e cucina, poi erano invitati a mettere a disposizione nelle famiglie le loro abilità, quindi cucinavano a casa. Alla fine dell'anno scolastico hanno cucinato una cena per insegnanti e genitori. Queste attività danno anche molti spunti interdisciplinari".

 

(Al minuto 39:50) La cittadinanza attiva e il salvataggio dell'isola di Budelli.

Nel libro affronti un annoso problema del nostro sistema scolastico: non prepara adeguatamente al mondo. Spesso anche dopo l'università si dice che i ragazzi non sono pronti alla vita lavorativa. Questo è un grande fallimento, perché la scuola dovrebbe preparare proprio alla vita e non a una verifica o a un esame. Le esperienze che racconti in questo libro sono sempre volte a preparare alla vita, anche con l'educazione alla cittadinanza attiva. Cosa succede quando cominciamo a considerare i ragazzi come persone abbastanza responsabili da agire subito anche fuori dalla scuola, come cittadini?

"L'approccio di cittadinanza attiva è sempre stato fondamentale nel mio insegnamento. Spesso la scuola interagisce con il territorio per chiedere dei fondi, ma può anche erogare dei servizi alla comunità. È possibile diventare agenti attivi per modificare il proprio comune o la propria comunità. E non solo la propria. Il caso più eclatante è stato il progetto Non si Sbudelli l'Italia. I ragazzi di Seconda media avevano letto un articolo in cui si diceva che l'isola di Budelli era stata messa all'asta e poteva essere acquistata da privati, così si sono attivati per raccogliere i 3 milioni di euro necessari a mantenerla pubblica. Fin da subito abbiamo deciso di mettere i ragazzi in prima linea in questo progetto: si trattava di telefonare al Presidente del tribunale di Tempio Pausania, rilasciare interviste ai giornalisti di giornali, radio e tv, aprire un conto bancario, ecc. Abbiamo fatto in modo che facessero tutto loro. All'inizio c'era un po' di timore, ma hanno subito capito qual era l'attitudine richiesta. Il progetto è andato avanti per due anni e ha raggiunto l'obiettivo economico. Ma il vero obiettivo era far toccare con mano agli alunni quale potenza può essere la scuola".

 

Leggendo questa parte del libro mi sono immedesimato anche nei ragazzi che hanno preso parte al salvataggio di quest'isola di cui si è parlato molto in Italia e che era diventata un simbolo di conservazione del nostro patrimonio. E intanto facevano tutte le esperienze richieste da un contesto scolastico, solo che invece che fare operazioni in colonna era tenere traccia del conto in banca o invece del tema era scrivere un discorso da ripetere al Direttore di banca.

"L'esempio del tema è azzeccato. I temi sono prove spesso poco motivanti, che non stimolano davvero i ragazzi a migliorare la propria forma di scrittura o scelta dei contenuti. Questo perché quello che cambia, se il tema è scritto bene, è solo un voto piuttosto che un altro. Ma quando si tratta di telefonare al Direttore di banca e bisogna preparare una scaletta di discorso nasce la voglia di fare bella figura, quindi scatta la motivazione a migliorare e la richiesta al docente di aiutarli. In un'esperienza di questo tipo entrano tutte le materie. Pensate che cinque alunni di questo gruppo sono stati invitati da un docente dell'Università Cattolica della facoltà di Economia a tenere una lezione. Così è accaduto che cinque tredicenni, per nulla intimoriti, tenessero una lezione di economia a dei laureandi su come si è svolto questo progetto. Ecco perché nel titolo del libro c'è la parola sogni, perché a volta si tratta davvero di utopie apparentemente irrealizzabili ma che possono diventare realtà con la giusta dose di determinazione".

 

Hai descritto una situazione completamente ribaltata rispetto a quella che siamo abituati a vedere in classe: non è il professore che controlla la forma per dare un giudizio, ma il ragazzo che chiede che il suo testo venga controllato per avere un aiuto e migliorare. Sono con esperienze costruite con queste caratteristiche avvengono cose di questo tipo. Un'ultima cosa che voglio chiederti è: queste esperienze provocano cambiamenti duraturi? I benefici permangono anche dopo la fine della scuola media o regrediscono?

"Dalla mia esperienza e anche guardando come funziona la società e il mondo del lavoro posso dire che i miglioramenti sono duraturi. E questo perché non si tratta di conoscenze, ma di competenze come la capacità di esprimersi, la resistenza e resilienza di fronte alle difficoltà, la flessibilità, il pensiero laterale o la capacità di lavorare in team. Queste sono risorse fondamentali per vivere e per il mondo del lavoro e che possono essere apprese già dalla primaria. Per le conoscenze tecniche si possono fare corsi anche da grandi, ma se queste competenze non le hai costruite a scuole è faticoso acquisirle successivamente".

 

In chiusura, vorremmo consigliare Una scuola a misura dei sogni a insegnanti e genitori, perché è utile davvero a tutti. E ci piacerebbe anche vederlo regalato ai ragazzi: non tanto perché pensino alla differenza tra questo approccio e la propria scuola (se succede tanto meglio, possono farsi promotori di un cambiamento), ma soprattutto perché capiscano che possono essere cittadini già a 11 o 12 anni.

 

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